Siamo arrivati all’ultima tappa del nostro viaggio tra gli usi e le tradizioni della Puglia più autentica.
E non poteva che concludersi così: con il matrimonio, il rito che da sempre intreccia amore, destino e comunità.
In passato, la scelta della data era un affare serio. Non tutto l’anno era buono per sposarsi.
Durante la Quaresima, quando si praticava l’astinenza in ogni forma, le nozze erano vietate.
Novembre, mese dei defunti, era considerato infausto.
E anche maggio, il mese della Vergine, si lasciava libero, in segno di rispetto.
Quanto ai giorni, la saggezza popolare aveva le sue regole:
il lunedì era per “chidde ca se nèrene scennute”, chi si era allontanato da casa;
martedì e venerdì portavano sfortuna (“né di Venere né di Marte, non si sposa e non si parte”);
il mercoledì era riservato ai vedovi.
Così, restavano il giovedì e il sabato, i giorni propizi per dire sì.
Due riti, una promessa
Il matrimonio si celebrava in due momenti distinti: civile e religioso.
Prima dei Patti Lateranensi, i cattolici erano costretti a sposarsi due volte:
al Comune, per la legge dello Stato, e in Chiesa, per la legge di Dio.
La cerimonia civile era discreta, quasi nascosta.
Partecipavano solo i genitori e i compari d’anello marito e moglie.
Gli sposi indossavano abiti da festa, ma non nuziali, e al termine tornavano ciascuno nella propria casa.
La convivenza iniziava solo dopo il matrimonio religioso.
Perché l’amore, allora, aveva tempi lunghi e regole sacre.
L’abito bianco e il giorno della sposa
La giornata delle nozze seguiva un rituale preciso, quasi liturgico.
Alle otto del mattino arrivava la pettinatrice.
Alle dieci, una carrozza si fermava davanti alla casa della sarta con l’abito bianco, simbolo di purezza e sogno.
Ci volevano due ore per vestire la sposa. Due ore di silenzio, emozione e mani che tremavano.
A mezzogiorno, il corteo si muoveva verso la chiesa:
sposa e padre in testa, poi sposo e madre, seguiti dagli altri parenti, dai compari e dagli amici.
Era una piccola processione d’amore, che attraversava il paese sotto lo sguardo di tutti.
Le nozze “di Santa Romana Chiesa” e quelle punitive
La cerimonia religiosa poteva essere gioiosa o punitiva dipendeva da ciò che i fidanzati avevano “combinato”.
Se si erano mantenuti puri, la sposa indossava l’abito bianco e la Messa era cantata, secondo l’ordine di Santa Romana Chiesa.
Ma se i due erano “scappati” se nèrene scennute allora il matrimonio si celebrava all’alba, in tono penitenziale.
Gli sposi, inginocchiati davanti a un paniere pieno di paglia, ascoltavano la Messa in silenzio, come a dire che si erano comportati “come le bestie”.
Niente festa, niente balli: solo un sì sussurrato e la vita che ricominciava da capo.
La festa e i suoi riti
Per tutti gli altri, invece, la giornata esplodeva di suoni e profumi.
All’uscita dalla chiesa, una pioggia di cannellini piccoli confetti dal cuore di cannella accompagnava gli sposi fino alla carrozza.
Con loro salivano i compari d’anello, diretti alla casa dello sposo, dove li attendeva la festa.
Le stanze venivano svuotate dei mobili, le sedie disposte lungo le pareti, e al centro restava lo spazio per danzare.
Tra un ballo e l’altro si offrivano dolci in canestri di vimini, ceci e fave arrostite, rosoli profumati e vino bianco.
Era un banchetto semplice, ma pieno di calore.
Dopo la Seconda guerra mondiale, le feste divennero più sfarzose: si abbandonarono le case e si scelse di festeggiare in sale antiche e palazzi nobiliari, con ricevimenti lunghi e abbondanti.
Ma lo spirito restava lo stesso: un paese intero che celebrava due vite che si univano.
Simboli e gesti d’amore
Ogni dettaglio aveva un significato.
L’abito bianco era dono dello sposo, che in cambio riceveva una cravatta grigia, “u scultine”, e un abito blu.
Il mazzolino di fiori d’arancio, offerto dal compare d’anello, era ricambiato con una guantiera di dolci.
E le spese si dividevano tra le famiglie, secondo il numero degli invitati.
Era una danza antica di gesti, simboli e rispetto.
Un modo per dire che il matrimonio non era solo l’unione di due persone, ma di due mondi, due case, due destini.
Forse è proprio per questo che, ancora oggi, quando una sposa attraversa la piazza di un paese del Sud, il vento sembra fermarsi un attimo.
Come se, in quel silenzio, risuonasse ancora la musica di un vecchio grammofono,
e il tempo per un istante solo tornasse a sorridere.






