C’era un tempo in cui l’amore non iniziava con un messaggio, ma con una stretta di mano.
Prima ancora che i cuori si scegliessero, si incontravano i genitori. In silenzio, con rispetto, si parlava di terre, di doti, di promesse. Era un incontro riservato, quasi sacro, dove contavano più la parola data che la firma su un foglio. Bastava un sì, detto piano, e la vita prendeva una nuova direzione.
Nelle famiglie contadine, il padre del giovane prometteva “mule, trame e uarnemìnte nove” e qualche tomolo di terra da lavorare.
Nelle case degli artigiani, invece, il dono era un mestiere: “la petaie”, il banco da lavoro nella bottega, con la paga che segnava l’inizio dell’indipendenza.
Il padre della ragazza offriva il corredo, che poteva essere povero “panne jùne”, pane giovane o ricco, “panne dèsce”, pane vecchio, segno di una dote più generosa.
Quando tutto era deciso, arrivava la festa. Si celebrava di sabato, nella casa della giovane, con i parenti stretti, gli zii, i nonni, gli amici.
I genitori dello sposo portavano “u cuncìrte”: orecchini, una spilla, una collana d’oro sottile il “puntandifle”, un filo leggero con un piccolo gioiello al centro, “u burlòcche”.
Il fidanzato, invece, offriva un anello che si intonava con quel concerto, simbolo di un legame che da quel momento diventava visibile.
Le sedie si disponevano lungo le pareti, lasciando spazio al centro della stanza per ballare.
Un grammofono suonava lento, i taralli e le paste secche giravano tra le mani, insieme ai fichi e ai ceci arrostiti, accompagnati da vino bianco preparato alla vendemmia, “in previsione del fidanzamento”.
Era una festa semplice, ma piena di luce.
Dopo quel giorno, il giovane poteva finalmente uscire con la promessa sposa — la domenica, per la Messa o per una passeggiata, ma mai da soli. C’era sempre una madre, una sorella, una presenza discreta a ricordare che l’amore, allora, era una cosa seria.
Se ascoltate la voce di Nino Taranto in “Ie, mammete e tu”, capirete.
Perché quella canzone racconta esattamente com’era: un amore timido e pieno di rispetto, dove ogni gesto era una promessa e ogni sorriso, un inizio.
Antonio Marzano






