Un tempo non bastava un like, un messaggio o un incontro al volo per far nascere una storia. innamorarsi era un percorso lento, fatto di sguardi, attese e piccoli gesti carichi di significato. In Puglia, come in gran parte del Sud Italia, esisteva un rituale antico chiamato u spuntnastre: il primo, timido passo del corteggiamento.

Il giovane che si era invaghito di una ragazza iniziava a “spuntare” davanti a casa sua, passando più volte al giorno, quasi per caso. In realtà aspettava che lei si affacciasse alla porta o alla finestra, magari dopo la Messa della domenica. Bastava un cenno, un sorriso, uno sguardo che si incrociava per far battere il cuore un po’ più forte.

Questo gioco di sguardi e attese poteva durare settimane, perfino mesi. Quando finalmente la ragazza usciva da sola, era il segnale: il momento giusto per avvicinarla e iniziare a parlare. Lei, per pudore, fingeva indifferenza, ma spesso era proprio quel dialogo sottovoce a dare inizio a una storia d’amore.

Le madri osservavano tutto da dietro le tende. Se il ragazzo sembrava “di buon cuore”, o proveniva da una famiglia rispettata, chiudevano un occhio e si informavano attraverso le amiche, le commari del quartiere. E se il giovane era anche capace di suonare il mandolino, la corte si colorava di note e parole.

Una delle serenate più note diceva così:

“Affaccete alla finestra, belle mie, te voghe disce ciacche stè inde o core mie.

Tègne na ferite ranne inde o core, ca pote uarì schitte u tue amore.”

Oggi i tempi sono cambiati. Gli incontri nascono online e i messaggi viaggiano veloci. Ma dietro ogni storia d’amore rimane lo stesso desiderio di un tempo: quello di sentirsi scelti, attesi, riconosciuti. Proprio come accadeva con u spuntnastre.

Antonio Marzano