Nell’imminente pubblicazione “Fotosofia” anticipo la mia visione con le seguenti parole: “fotografare la vita è istruirsi nella cultura del particolare e dell’irripetibile”.

Occorre ammettere che c’è voluta la disciplina della Fotografia per farmi capire quanto realmente sia preziosa ogni piccola cosa che facciamo e che viviamo.

Una volta mi sono chiesto: se avessi svolto un’altra professione, un altro lavoro, avrei potuto mai scoprire e apprezzare comunque ogni singolo aspetto della vita? L’intuito mi suggerisce che, attendibilmente, ciascuna attività inerente le arti conduca a questo genere di riflessione, conclusione, rivelazione. Consentitemi una breve divagazione: sarebbe utile appurare se è l’arte a sviluppare la nostra sensibilità o se, invece, è la sensibilità congenita che ci fa esprimere per mezzo dell’arte.

Troppo spesso diamo per ovvie alcune cose, sottovalutiamo ciò che da’ un certo significato a quei frangenti in grado di risollevare istantaneamente il nostro umore: penso ad esempio al benessere derivante dal tepore dei raggi del sole d’inverno che carezzano le guance gelide, piuttosto che all’impatto emotivo provocato dalla visione ravvicinatissima di un rapace sbucato dal nulla – mi è capitato di osservarne uno mentre ghermiva con gli artigli un serpente – oppure, anche, al rigenerante sorriso rivoltoci spontaneamente da un bambino mai visto prima, incrociato lungo i nostri casuali percorsi…

È la voglia di rivivere queste emozioni, è ricercando frammenti d’esistenza che la fotografia esercita su di me quell’inspiegabile fascino che la connota da sempre.

E per cui ritengo, sulla sua storia non scorreranno mai i titoli di coda.

Buona riscoperta a ciascuno di voi.

Giuseppe Tricarico

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