Era una calda mattinata d’agosto quando, trascinandomi per Spalato nell’attesa dell’ennesimo traghetto in ritardo, più per sfuggire alla sudata fiumana umana che inondava il centro storico che per vera sete di cultura, mi avventurai nel museo cittadino. Intorno alle 12.00 il museo strappava il suo biglietto n. 003. Il tempo di accomodare la vista al biancore delle pareti e mi accorsi di aver chiuso dietro di me l’inferno turistico di Ferragosto per scendere come Alice nel Paese delle Meraviglie in un mondo fantastico, un mondo completamente capovolto comunicante attraverso macchie di colore che espandendosi prendevano nuove forme: il mondo di Chagall. Strategicamente bianchissime, le pareti del museo, ospitavano poche tele dell’artista russo, ma sufficienti a dare l’idea dei caroselli di personaggi reali ed irreali. Donne e uomini, bambini ed animali, personaggi di nuove mitologie e musici, tantissimi musici e lune e stelle con nuvole avvolgenti popolavano l’aria. I miei occhi prima e la mia mente poi, ne traevano refrigerio. Scorrendo le tele mi resi conto che parlavano d’amore. Era la voce sincera di un uomo che aveva amato davvero la vita e in essa soprattutto le donne. Due in particolare, due amori diversi, uno giovanile e uno dell’età matura, ma raccontati in maniera inversa: serietà e compostezza descrittiva in gioventù ed entusiasmo e giocosità nella maturità. Ripeto, la mostra era un po’ scarna, ma c’era il giusto per recepire il senso di un’esistenza proiettata nell’amore e nella famiglia usate quasi come ancora di salvezza dal triste periodo che Chagall si è trovato a vivere: uno dei tanti periodi brutti per nascere ebrei. Sulle sue tele non ci sono tracce di sangue o morte, sono solo amore, fede e sensualità. Quando incontrò Bella, la donna che avrebbe sposato, dipinse ben due opere dedicate al tema nuziale: la prima, del 1909, ci descrive un tipico matrimonio ebraico, nel tipico stile pittorico russo: l’uso razionale della prospettiva, il corteo nuziale con musicanti, violini e bambini che assistono al corteo e le case in lontananza, parlano di una quiete familiare ancorata nelle tradizioni. Solo l’anno dopo, quando Chagall e la sua Bella riusciranno a raggiungere Parigi, lo stesso tema non avrà uguale sviluppo. Il dipinto del 1910 è un’esplosione di contaminazioni: ci sono i colori fauves, i corpi destrutturati cubisti e gli sposi, radiosi, al centro della tela sembrano emanare luce propria; deve essere stato molto bello per lui vivere con la donna amata fra Apollinaire, Picasso e il nostro Modigliani. Un idillio destinato ad interrompersi bruscamente nel 1944 quando Bella muore di ma lattia e lui dipinge “Le luci del matrimonio”. Il dipinto è quasi un’allucinazione di gioia, ci sono tutti gli elementi della felicità perduta, la sua sposa, innanzitutto, protagonista però troppo pallida per appartenere alla realtà, e tutt’intorno sono raccontati i momenti speciali di un grande amore; la sensualità di due corpi nudi che si stringono nella parte inferiore dell’opera, poi, risalendo, abbiamo una netta divisione spaziale fra ciò che è stato: il rito matrimoniale ebraico con i rabbini e i violinisti e il cattivo presagio che ciò finirà. Una grande figura alata con testa di capra sta bevendo un liquido rosso sangue, è un Dio sanguinario frutto della profonda depressione e dello scoraggiamento dell’artista, che dipinge sempre meno fino a quando un nuovo amore gli donerà nuova linfa. Arriva “La mariée”, una grande sposa vestita di rosso domina la tela, su di lei aleggia un uomo che abbraccia il velo nuziale ed intorno torna ad esserci il solito bestiario portatosi dall’infanzia nelle campagne, e tornano anche i dolci violini; è così che ci presenta il suo nuovo amore: Vavà. Questo quadro divenuto noto attraverso il film Notting Hill non è, tuttavia, l’unico a parlarci dell’amore per Vavà, ne ha dipinti molti altri, ma l’apice del romanticismo ritengo sia “Parigi tra le due rive” i due sposi sono di nuovo i protagonisti ben posizionati sotto la bappah rossa ebraica, il fondo è pacificamente acquatico e teatrale insieme, il Diocapra ritorna a farsi vedere, ma, stavolta è benevolo e veglia sugli sposi accompagnato da una donna avente le fattezze della sua prima moglie, Bella.

Maria Lucia Dicorato